TENET - Recensione SPOILER e Spiegazione del film

 


Non cercare di capire, devi sentirlo


È questa la chiave di volta per apprezzare "Tenet", l'ultima pellicola del cineasta britannico Christopher Nolan alle prese con una sfida epocale. La pandemia di Covid-19 ha dato del filo da torcere all'uscita del film, previsto nelle sale statunitensi per il 17 luglio 2020. In Italia "Tenet" è stato rilasciato il 26 agosto 2020 e il risultato è stato impressionante: sale gremite fino all'orlo, posti disponibili solo in prima fila con il collo all'insù e casse di risonanza acustica a pochi millimetri dal cardiopalma. Le critiche non hanno tardato ad arrivare, un malcontento dilagante per l'ultima opera di un regista che, da tempo immemore,  ha smesso di viziare il suo pubblico e si è spinto oltre, ben consapevole dei rischi. Se c'è una cosa che va detta è che Christopher Nolan ha scelto di resistere, di aspettarci, ci ha voluti fortemente ad animare quelle poltrone vuote da mesi; non ha ceduto al fascino dello streaming e ci ha regalato un ritorno in sala necessario, un'esperienza collettiva che ha assunto le vesti di un respiro senza precedenti. 


Un chiodo fisso

Sebbene a prima vista possa sembrare l'opera più ambiziosa di Christopher Nolan, non è la cifra stilistica di "Tenet" a farne un unicum nella sua filmografia, né tantomeno il suo contenuto. Sono la forma, estremizzata quasi fino all'iperbole, e il tentativo del regista di elevare la semplicità all'enigma, a rendere il film criptico e impossibile da decifrare. La realtà dei fatti è che concetti come entropia e inversione temporale sono un terreno già battuto, anche dal regista stesso, dunque l'unico modo di renderli appetibili è servirli su un piatto d'argento accompagnati dall'illusione che si tratti di una dinamica narrativa di nicchia. In questo risiede la bravura di Nolan che con sporadici interventi risolutivi e "paroloni" scientifici innalza apparentemente gli standard di Q.I indispensabili alla comprensione e seleziona, egoisticamente, quel pubblico in grado di comprendere il giocoE qui il contesto è solo un pretesto per la forma, una regia impeccabile fatta salva qualche scazzottata eccessivamente frenetica. 

L'origine: Il quadrato del Sator e la spiegazione



Con la forma di un quadrato magico il quadrato del Sator è un'iscrizione latina di cinque parole SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS che compongono un palindromo, ossia una frase leggibile da destra a sinistra, dall'alto in basso e viceversa. Christopher Nolan sceglie di partire in medias res sullo schermo, dalla "N" centrale di "Tenet", per tenere insieme un'opera che, analogamente al quadrato originale, è passibile di molteplici interpretazioni: può essere vista dall'inizio alla fine, coerentemente alla nostra visione lineare e cronologica del tempo, oppure può prescindere da qualsiasi concezione categorica di causa ed effetto e svelarsi a partire dalla fine. Un effetto che origina la sua causa, una causa che a sua volta è effetto della stessa. L'unica arma per immergersi catarticamente nel film è l'ignoranza, partire da una tabula rasa di certezze, dogmi, nozioni per riconsiderare ciò che non sembra possibile e confermarlo reale. In questo gioco audace - per quanto folle -  ciascun personaggio ha un ruolo ben preciso. 


Andrei Sator, interpretato da Kennet Branagh, è padre e creatore: un magnate russo che, malato di cancro allo stadio terminale, decide di trasformarsi in un omnicida e portare un mondo al collasso con sé. Reclutato nell'infanzia dal futuro per ricomporre i nove dispositivi dell'algoritmo, Sator ha nelle sue mani il destino dell'umanità, in questo è potenziale Creatore e Distruttore cui vengono rimesse le sorti di ciascuno. Il Protagonista, interpretato da John David Washington (figlio d'arte, suo padre è Denzel Washington) ha il compito di impedire a Sator di prendere possesso dell'ultimo pezzo dell'algoritmo: se realtà lineare e realtà invertita convergono, per l'universo e tutte le sue creature la fine è una certezza. 

Thomas Arepo è un personaggio invisibile, un falsario di opere d'arte misteriosamente scomparso dopo aver venduto un Goya da 9 milioni al miliardario Sator. La sua ambiguità e i suoi contorni sfumati non sono un caso, e Nolan lo sa. Nell'iscrizione del Sator Arepo è la parola più controversa: si tratta di un hapax legomenon, un termine comparso una sola volta e impossibile da confrontare con altre occorrenze. 

Tenet, è il collante dell'intera narrazione: ha origine latina, dal verbo tenere, coniugato alla terza persona singolare. Palindromo per eccellenza, la sua centralità nell'iscrizione è necessaria per le pedine coinvolte in questo schema: da destra a sinistra, da sinistra a destra, dall'alto in basso, dal basso in alto, tutti i personaggi sono destinati a ripercorrerne il perimetro per arrivare ad una soluzione finale - o iniziale - che a nessuno è dato di sapere. Nel film Tenet è una sorta di organizzazione misteriosa - rappresentata dall'incrocio di due mani che si fondono - fondata con l'obiettivo di sventare un'imminente minaccia proveniente dal futuro. Un futuro dotato di tecnologie in grado di distruggere il pianeta. 

Opera, l'Opera di Kiev in cui ha inizio il film. Un'operazione militare che segna l'avvio del viaggio del Protagonista. 

Rotas, l'organizzazione paramilitare che dà avvio all'operazione finale. 


In "Tenet" c'è tutto a dire ciò che c'è, ma non si vede. C'è una squadra rossa che viaggia da A a B, nel presente per il futuro, e una squadra blu che viaggia dal futuro al passato, in una mossa a tenaglia in loop temporale in grado di garantire la sopravvivenza alla specie. La vera bomba è quella che non esplode, la minaccia costante di una fine imminente che entrambe le squadre, in una circolarità senza fine, continuano a preservare agendo esattamente come devono agire. Il viaggio nel tempo non è destinato a mutare quanto accaduto o accadrà, ma a permettere che ciascuna delle pedine, muovendosi avanti e indietro, operi portando a termine il suo compito. In TENET dunque la squadra rossa opera da "TE" verso "N" iniziale, la blu da "TE" finale verso "N" centrale per ricongiungersi nel grande disegno del destino. 

Se si applica una lettura bustrofedica all'iscrizione del Sator - cambiando verso di percorrenza alla fine di ogni riga o di ogni colonna - si ottiene la frase Sator opera tenet arepo rotas traducibile con L'uomo decide le sue azioni quotidiane, ma soltanto Dio decide il suo destino". Un disegno finale che sembra condensare tutte le costanti della poetica nolaniana, in una summa di generi cinematografici che si intrecciano per fare da cornice al viaggio dell'eroe. Il Protagonista in incognito nella missione e sconosciuto perfino a se stesso è il cervello dietro l'operazione e le mani della stessa nel suo presente. 



Christopher Nolan gioca ad un gioco dell'oca bivalente: dirige i suoi protagonisti privandoli di ogni profondità sentimentale e restituendo loro una parvenza di umanità solo in extremis, e gioca con noi, adepti fedeli di un cinema che non necessariamente andrebbe spiegato. Se fosse l'ultima opera del regista, probabilmente stringeremmo la sua mano per l'integra fedeltà dimostrata al suo ideale, alla sua poetica, alla sua ossessione di creare l'opera perfetta, leggibile in ogni suo verso. Il regista da Memento (2000) in poi consegna al suo spettatore le coordinate utili a comprendere il suo piano e salpa l'ancora con a bordo solo chi, con sospensione della realtà, ha deciso di darsi tempo per capire, per godere dell'essenza di un cinema che si rinnova a partire da tutto ciò che conosciamo. 

"Tenet" ci tiene incollati alla poltrona, incapaci di abbandonarla. Ci riporta in sala alla sua fine, ci offre un dramma familiare, un film di spionaggio, un film di guerra e di fantascienza sovrapposti in una sola trama lineare, estremamente comprensibile se si possiede la tempra giusta.  Un film freddo, glaciale, artico senza posto per i sentimenti sbandierati, per le congetture aleatorie, un rischio consapevole di un regista della forma che non ha più tempo né voglia di spiegare. 

Il prezzo da pagare è la frattura in un pubblico abituato ad una qualità che sembra perdere vigore se non supportata da una trama riconoscibile. Un azzardo che potrebbe essere perdonato solo con un atto di fede nei confronti del regista che ci ha resi oggetto, forse, di un atto di fede ancora più grande: la certezza di trovarci pronti a reagire al solletico di un enigma.





Commenti