Ex machina e l'I.A.



Ex machina è un film ,diretto da Alex Garland, del 2015, il quale si concentra sull’intelligenza artificiale e sulla sua plausibilità. Lo spettatore segue Caleb, un dipendente della Bluebook, che si aggiudica la possibilità di fare visita a Nathan Bateman, capo della compagnia.

Lo scopo di Caleb durante questa visita sarà quello di esaminare con il test di Turing Ava, I.A. creata da Nathan. Il film parte destrutturando il test, rendendolo diverso. Il test base consiste nel far interagire un uomo sia con un altro uomo che con una macchina. Se egli non riesce a capire quali siano le risposte “umane” l’intelligenza artificiale è confermata. Nel film invece Ava entra in contatto visivo con Caleb e quindi cade quella parte dell’esperimento che vede Macchina e umano interagire solo attraverso domande e risposte.

Ma cosa rende intelligente qualcuno? In sostanza un’intelligenza deve capire, deve contestualizzare e seguire una linea di pensiero. Deve ragionare e non calcolare come fanno i nostri computer odierni. Nel film Nathan è però interessato più alle risposte emotive di Caleb e non al suo interesse tecnologico su di Ava. Ciò che vuole riuscire a testare attraverso Caleb è la complessità di ragionamento e allo stesso tempo l’involontarietà di tale fenomeno. Ogni volta che noi facciamo o pensiamo qualcosa, non è detto che partiamo da un preconcetto strutturato del perché stiamo facendo quella cosa.

Alla teoria dell’I.A. forte, che nasce dal test di Turing, si oppone il pensiero di John Searle che invece mira a confutare la validità del test. Searle inventò l’esperimento mentale della stanza cinese. Egli si ipotizzava in una stanza chiusa in cui da fuori gli arrivavano domande in cinese, lingua che non conosceva, e lui attraverso i manuali presenti all’interno della stanza riusciva a rispondere sempre esattamente. Ovviamente questo esperimento mentale serviva per dimostrare la non effettiva comprensione da parte di un computer. I manuali rappresentano un programma che la macchina esegue e quindi non comprende. Non possiamo dire che Searle sappia il cinese perché risponde correttamente in quanto egli non comprende le domande e neanche le risposte che dà.

Le risposte più importanti a tale esperimento sono tre. Una prima risposta afferma che in generale il sistema comprende, e quindi se una macchina ha una memoria centrale e un programma che gli permette di decodificare determinati input automaticamente possiamo dire che comprende la domanda che gli è stata fatta.

La seconda risposta, chiamata risposta del robot, è quella che considera l’I.A. come agente capace di accumulare esperienza, in modo tale da acquisire una comprensione di sé e del mondo circostante. Possiamo riconoscerci in questa risposta vendendo il film, in quanto Ava attua piani complessi, dimostrando di aver coscienza di se e dei propri mezzi.

L’ultima risposta è quella wittgensteiniana. Per attribuire intelligenza a qualcuno, noi osserviamo quello che fa e come si comporta e quindi, se una macchina appare umana, senziente non posso che riconoscerla come intelligente. Credo che il pensiero di Nathan si avvicini a questa risposta, in quanto la sua compagnia, come detto nel film, è chiamata Bluebook come omaggio al libro scritto da Wittgenstein, “Libro blu”. Nathan, mostrando Ava nel test, è quindi interessato a capire se pur vedendola come un essere artificiale, Caleb la percepisca come umana in base ai suoi comportamenti.

Attraverso questa visione possiamo fare un riferimento ad un altro film, Blade Runner. Anche lì, arrivando al monologo finale del replicante prima della sua prematura morte, si mette in risalto l’aspetto comportamentale dell’essere, la sua voglia di ricordare e condividere le sue esperienze. Entrambi i film quindi più che porsi la domanda “cosa rende intelligente qualcuno?” si interrogano sulla prerogativa dell’umanità. Cosa ci rende umani? Io credo che la risposta che poi entrambi i film danno sia l’istinto di sopravvivenza. Sia i quattro replicanti di Blade Runner che Ava ragionano e cercano di trovare un modo per conservarsi e rimanere vivi. Questo ci dà una percezione di loro come effettivamente umani e razionali, proprio ciò che li rende intelligenti secondo la risposta wittgensteiniana, in quanto hanno l’atteggiamento che tutti avremmo nella loro situazione.

Nel film infine viene citato un altro esperimento mentale, quello di Mary e la stanza in bianco e nero. Mary è una scienziata che conosce tutto dei colori, ma vive in questa stanza in bianco e nero. Un giorno Mary esce dalla stanza e vede il cielo, meravigliandosi di come realmente sia il blu. Il film gioca con questo esperimento mentale, richiamandosi forse anche a quello di Searle rappresentando Ava chiusa in una stanza. Ex machina non mette quindi in dubbio l’I.A., ma mostra il passaggio traumatico dall’umanità ad essa, mostra il suo avanzamento e la sua uscita da quella stanza che non le permette di esprimersi.

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