“Eyes Wide Shut”, tra scandalo, sogni e desideri

Nel settembre del 1999 la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia “spalancava gli occhi” per la prima volta su “Eyes Wide Shut”, opera conclusiva della filmografia di Stanley Kubrick. Film chiacchierato fin da prima della sua uscita, a causa di rumours che puntavano soprattutto su una presunta morbosità del film, definita addirittura pornografica. La coppia d'oro dell'epoca (Cruise-Kidman) era stata scritturata per questo progetto, costato 400 giorni di riprese, e per cui sarebbero dovuti passare anni prima che il film in sé venisse considerato più interessante che il dietro le quinte. 

Venne subito definito come non all'altezza degli altri film del grande Kubrick, scomparso a meno di 100 ore dalla fine della post-produzione. Ampia parte della critica parlò del film come di un'opera erotica e scandalosa; diverse scene esplicite avevano infatti destato parecchio scalpore: l'orgia in maschera, l'uso di droghe, le scene di sesso, un certo tipo di linguaggio. A 21 anni dall'uscita del film viene ancora spontaneo chiedersi cosa ha reso così dibattuta e, tanto apprezzata quanto criticata, questa “divina commedia di fine millennio”.

“Eyes Wide Shut” è tratto dal romanzo di Arthur Schnitzler “Traumnovelle” (1926), in italiano tradotto come “Doppio sogno”, ambientato nella Vienna di inizio Novecento. Nel film, la storia viene invece traslata da Kubrick alla NY delle luci e delle feste natalizie, dell'impero decadente del capitalismo globalizzato e finanziario, una NY che il regista fotografa con assoluta precisione. Protagonisti della storia sono i borghesi Alice e William, invitati ad una festa in una sontuosa villa, il cui padrone è un ricchissimo Sydney Pollack, nelle vesti dell'aristocratico Ziegler. La festa in questione fungerà da spartiacque nel rapporto tra i due, portando infatti ad una conversazione intima sotto effetto di marijuana una volta tornati a casa e alla confessione di tradimenti mai avvenuti da parte di Alice, che condurranno William a una sorta di “viaggio nell'inferno”.

Il titolo del film, ossimorico già di per sé, come ossimorico è il film stesso, fa riferimento alle contraddizioni dell'esistenza umana, alle faticose ricerche di quest’ultima, al travaglio psicologico di una coppia che “spalanca gli occhi” all'ambivalenza e al recondito che fanno parte di ogni essere umano e di ogni matrimonio di conseguenza. Kubrick (assieme ad Alice, regista occulta del film) mette in scena un sapiente gioco di specchi, per mostrare come la realtà immaginata e quella tangibile si compenetrino e come “nessun sogno è mai soltanto un sogno”. 

E' un film in cui realtà fortemente antitetiche convivono: il sesso e la morte (la prostituta che sviene all’inizio e viene trovata morta alla fine), la bellezza del corpo desiderabile e la malattia (la prostituta che si scopre essere sieropositiva), la vita pubblica e la morbosa segretezza di quella privata (i partecipanti all’orgia sono probabilmente tutte persone altolocate, ragion per cui la loro identità non può essere svelata), i moralismi che poi si rivelano falsi (il negoziante che prima si scandalizza della sessualità clandestina ed esplicita della figlia e poi fa di questa una vera e propria attività imprenditoriale). Il tema del doppio, del sogno e del corpo sono onnipresenti. È inoltre un film ricco di sottotesti, anche politici e sociali. Tutto questo confluisce in una forma cristallina e perfetta, tipica della regia di Kubrick, che, grazie alla messa in scena ricca e sontuosa, evidenzia come in questo film la materia, la merce, sia uno strumento di riflessione. Il corpo è, nello specifico, la merce per eccellenza. Per questo può essere inteso come il film più politico di Kubrick ma allo stesso tempo più personale. Vediamo i corpi dei nostri protagonisti guardarsi allo specchio, ma lo sguardo di questi è diretto altrove. Kubrick osserva i corpi con una sorta di distanza di sicurezza, sottolineando tramite questa distanza lo spazio che separa la vita e la morte, la linea di galleggiamento, il limbo. 

La distanza tra la posizione della macchina da presa e chi vi sta davanti è proprio un limbo, in cui si può indagare il senso dell'esistenza come momento del falso che reclama la propria verità interiore. Tutti i gesti e le scelte attoriali sono studiate nei minimi dettagli, niente è casuale. Viene affrontato il tema del desiderio e dell'appetito sessuale di Alice e delle donne di questo film e, conseguentemente, il modo in cui il maschio risponde al desiderio femminile, con un forte richiamo alle teorie di Freud e Jung. Il discorso dei sogni riguarda anche la figura del doppio, tutte le donne che Bill incontra sono infatti un'immagine speculare della moglie che, però, grazie all'istituzione del matrimonio, può elargire le sue attenzioni fisiche senza bisogno di compenso, a differenza delle altre donne con cui Bill si interfaccerà. E' fondamentale che ci fosse una relazione reale dietro l'apparenza del film, che si presenta come un sogno condiviso; possiamo dire che la realtà onirica del cinema in Kubrick trova infatti piena definizione. Qui il fattore onirico è inteso come

riproduzione, uguaglianza tra situazioni che sembrano sovrapporsi, rispecchiarsi l'una nell'altra, ma allo stesso tempo sono filtrate dalla psicologia alterata del soggetto che le sperimenta, perché sembrano ripetersi in modo disturbante.

Non è forse una complessiva e totalizzante maschera “Eyes Wide Shut”? Il film si propone come un'infinita mascherata, dove tutti fingono per tentare di riappropriarsi del vero, travolti da un’esistenza materialistica e fasulla. Sono da intendersi in questo senso le due feste: la prima è la festa di Ziegler, a cui Bill partecipa a maschera scoperta. Fin da questa prima occasione si fa riferimento alla merce; capiamo come Bill vuole essere condotto dove finisce l'arcobaleno, dove c'è il denaro, c'è il corpo nudo femminile (che William può visitare perché sta espletando le sue funzioni) c'è la seduzione, la steadycam che si insinua dentro, c'è un rituale (il corteggiamento del conte ungherese, rappresentante di un vecchio modo di pensare, che rimanda all’ambientazione del racconto originale). La festa in maschera ha una sorta di rituale molto simile: è necessario essere invitati, c'è sempre la steadycam, il corpo femminile, il rituale e probabilmente lo stesso tipo di estrazione sociale dei partecipanti. Queste due macrosequenze che si sovrappongono tra loro danno il senso del confondersi tra realtà vera e realtà sognata. Ci sembra di perderci tra queste due dimensioni. E in mezzo a questa “via crucis” c'è l'identità smarrita di Bill, che vaga mostrando continuamente il suo tesserino per dimostrare il suo statuto borghese di medico. Si muove in una sorta di limbo, senza essere un aristocratico che può permettersi di vedere determinate cose, di essere ammesso a vivere certe esperienze, che sono meccaniche, rituali, proprio perché hanno perso qualsiasi statuto morale, esistenziale, e sono divenute semplice ed effimera ritualità. Nel percorso tra le strade newyorchesi prima di recarsi alla festa, Bill si scontra con ricorrenza (o ritualità?) con i temi della merce, del denaro, del doppio. Nel negozio dei costumi, infatti, c'è l'arcobaleno, la figlia del venditore fa del proprio corpo merce, successivamente incontra la prostituta Domino che insiste per pagare, nonostante non abbia usufruito del suo servizio; entra poi nella camera dove uno dei suoi ricchi clienti è venuto a mancare, con la figlia che gli si dichiara apertamente. Questa tappa prelude alla festa in maschera, perché è la casa di un ricchissimo signore, dove aleggia un'aria di morte che sarà poi la stessa della villa dove si svolge la festa in maschera. Nel suo limbo esistenziale, il dottor William attraversa questo labirinto infernale all'interno del sistema politico-borghese, in qualità di un professionista che sta al cospetto di una verità che solamente una casta superiore tutela e protegge.

E' interessante come il soprannome del protagonista sia sottolineato più volte nei dialoghi. “Bill” in inglese significa infatti conto, lista, e il nomignolo potrebbe anche fare riferimento a “billionaire”, a qualcosa di materiale, contabile, capitalisticamente rilevante; sostanzialmente patrimoni che lui non ha, perchè vende il suo servizio a gente altolocata, più ricca di lui, arrivando nel suo viaggio però a qualcosa che non può essere comprato, bensì a cui si può unicamente arrivare per status sociale (orgia), un labirinto infernale e di perversione, dove forse avviene qualcosa che scardina la struttura capitalistico-merceologica che sta alla base dell'ideologia newyorchese che domina il film. Il personaggio del pianista, presente anche nel racconto originale, rappresenta la chiave di accesso per entrare in questo mondo segreto e la parola d’ordine, “Fidelio”, è un'opera di Beethoven (compositore presente anche in Arancia meccanica, in cui le sinfonie utilizzate sono sempre associate al senso della vista). Anche” Fidelio” permetterà di vedere. Il vedere può essere intesto come gesto di sfida in questo film, a un certo tipo di società. Bill non potrebbe vedere ciò che accade alla festa in maschera, e neanche il pianista. Sono presenti innumerevoli dettagli legati alla vista, allo sguardo, a cosa si può vedere e cosa no durante il film. “Fidelio” rimanda anche a quello che in questo mondo perverso non si vedrà, ovvero la descrizione di una vita coniugale ordinaria. Tra le critiche negative mosse al film ci fu in questo senso quella che il film rappresentasse anacronisticamente il perbenismo della famiglia borghese, senza una sorta di slancio nichilista che alla fine del '900 era normale aspettarsi dalle famiglie. Il modo di pensare e di intendere il tradimento, secondo diversi critici, nel film è molto di inizio '900 e quindi riconducibile all’ambientazione originale della storia. Ma quello che si indagherà nel film è, in modo molto artefatto, il vizio di quella casta di super ricchi a cui Bill non appartiene, perché è una persona che vende la sua professione, vende le sue cure; al contrario, quello è un mondo talmente inarrivabile che non si deve neanche pagare per entrare, bisogna necessariamente appartenere a una casta per potervi accedere. Il

signspiel di Beethoven è tratto da Léonore ou l’amour conjugal di Jean-Nicolas Bouilly, che termina con la moglie che toglie metaforicamente e concretamente le catene al marito. Anche Alice “scatena” in un certo senso Bill alla fine, ma in una società intrinsecamente sistemica e capitalista questa “liberazione” si tramuta in un caos alla ricerca della soddisfazione attraverso il potere. Ma Bill non è Ziegler, non ha accesso a quel mondo. Può permettersi agi che altrove sarebbero impensabili, però non può trasgredire, perché il suo livello sociale non glielo consente. Gli è concesso unicamente il ritorno al nido familiare, agli affetti. Non è senza catene, Bill, perché il suo desiderio (che è molto più brutale, venale, e meno afferrabile all’apparenza dallo spettatore rispetto a quello di Alice, nonostante la morale non gli consenta di portarlo a compimento) non ha a che fare con la corporeità e la carnalità. È il desiderio dell’accesso a una parte di società che gli chiude letteralmente il cancello in faccia.

Nella scena del biliardo veniamo a conoscenza della natura sciaradica, di messa in scena, di tutto quello che si è visto durante la sequenza dell'orgia. Ci viene mostrata infatti una donna che si è offerta gratuitamente per salvare la vita a William. In mezzo a tutto questo ostentare e analisi del mondo capitalistico e finanziario, in cui ancora ci sono le classi sociali, troviamo un gesto di ricompensa gratuita, morale, un legame più autentico tra William e la prostituita. Lei ha infatti ricevuto un aiuto in un momento di difficoltà e, in un qualche modo, lo ricambia. Viene da chiedersi, quindi, se anche questa è una messa in scena, un rituale, o un gesto di autentica e genuina gratitudine umana in un mondo fatto di sola merce e denaro? Si è preda di questi dubbi e domande che scaturiscono dalla musica ipnotica di questa sequenza, avvolta da un alone di mistero anche per quanto riguarda la sua preparazione. Si arrivò infatti anche ad usare immagini del Kama Sutra per i movimenti dell'orgia, cosa che causò problemi immensi alla morte di Kubrick. Il film, infatti, non doveva essere vietato ai minori di 17 anni per contratto; nonostante ciò, la prima versione lo fu. La Warner rispose a questa problematica aggiungendo personaggi al digitale davanti alle persone nelle posizioni che causavano il divieto.

Il finale del film ci porta in un labirinto di giocattoli, dove i due coniugi si trovano a fare acquisti natalizi con la figlia. Il senso della sardonica battuta finale è quello di dimostrare a cosa serva il matrimonio; qui emergono tutto il pessimismo e l'amarezza di Kubrick, che ha sempre ragionato sulla prostituzione, sul mercimonio del fisico e del corpo nella sua filmografia. Nel negozio tutto può essere acquistato legalmente, al contrario dell’ambiente lussuoso ed elitario con cui Bill si è confrontato in precedenza, dove niente può essere comprato. Ecco allora che a Bill e Alice non resta proprio che questo negozio, dove possono sfoggiare la loro superiorità economica rispetto ai loro simili, promettendo alla figlia i regali di Natale che tanto desidera. E promettendosi l’unico atto in grado di fargli percepire, per qualche istante, la percezione del vero. “Scopare”.

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